I tendini flessori dalla loro origine alla loro inserzione, attraversano diverse aree della mano e del polso. Nel 1980 la IFSSH (International Federetion of societies For Surgery of the hand) ha cercato di uniformare il linguaggio, le indicazioni chirurgiche, la valutazione e i risultati suddividendo la regione volare della mano e del polso in 5 zone.
• zona 1 : una lesione in questa zona normalmente non provoca complicanze funzionali poiché il tendine è unico e ben vascolarizzato.
• zona 2 viene anche definita dagli anglosassoni la “terra di nessuno”. È quella zona dove il flessore superficiale e il flessore profondo decorrono intimamente in un canale osteo-fibroso. Questa è la zona dove si verificano il maggior numero di insuccessi dopo le riparazioni a causa delle aderenze che si creano e che impediscono lo scorrimento tendineo.
• zona 3 i tendini sono molto vascolarizzati, lo spazio è maggiore e le complicanze funzionali, se presenti, sono ben tollerate.
• zone 4 e 5 : lesioni in questa zona potrebbero portare ad aderenze tra i tendini e i tessuti circostanti o tra i tendini stessi, causando l’effetto quadriga.
Quindi la riparazione dei tendini flessori della mano porta a risultati non sempre brillanti in termini di recupero funzionale. I problemi derivano, in primo luogo, dalla sede anatomica della lesione: facendo riferimento alle cinque zone di Verdan e Kleinert di suddivisione della mano, la zona due, compresa tra la prima puleggia di riflessione e la divisione del flessore superficiale (chiasma), presenta le maggiori difficoltà, sia per la possibilità di avere una lesione a carico di entrambi i tendini, sia per i problemi nutrizionali, fattori che condizionano lo sviluppo di una sindrome aderenziale.
i buoni risultati vengono influenzati da molteplici variabili sia legate al trauma ( modalità ed estensione della lesione, strutture coinvolte, lesioni associate) sia legate al paziente ( motivazione, condizioni generali..) sia legate al tipo di tecnica utilizzata. La scelta del metodo terapeutico dipende quindi dalla valutazione dell'equipe chirurgica e riabilitativa in funzione del tipo di lesione, della tecnica di sutura, della cooperazione del paziente e dell'esperienza dei terapisti.
1. TECNICA DI IMMOBILIZZAZIONE: caratterizzata dal confezionamento di un gesso che immobilizza il dito, la mano, il polso e l’avambraccio per circa 4-6 settimane. Una volta rimosso il gesso si potrà proseguire con esercizi di Place and Hold, mobilità attiva e in un secondo momento con elettrostimolazione e recupero della forza. Questo tipo di tecnica richiede però quasi sempre una tenolisi secondaria (intervento chirurgico che ha lo scopo di liberare il tendine da aderenze fibrose che si sono stabilite con i tessuti molli vicini) poiché il blocco dello scorrimento tendineo provoca risultati funzionali e rigidità secondarie articolari inaccettabili.
2. TECINCA DI MOBILIZZAZIONE PASSIVA PROTETTA: è indicata quando vi è una bassa tenuta di resistenza della sutura.
- METODO DURAN HAUSER
È una tecnica di mobilità passiva protetta che prevede il confezionamento di uno splint posizionato a polso neutro, MF flesse a 70° e IFP-IFD in estensione. La riabilitazione inizia all’interno dello splint gia qualche giorno dopo l’intervento chirurgico. Per 4 settimane il paziente dovrà eseguire la flessione passiva e globale delle dita e l’estensione attiva fino al tetto dello splint. Dalla 4° settimana si svezzerà l’ortesi e si cominceranno esercizi di mobilità attiva fino ad arrivare al recupero della forza.
- METODO KLEINERT
È un altro metodo di mobilizzazione passiva protetta che prevede il confezionamento di uno splint posizionato con polso a 30° di flessione, MF flesse a 70° e IFP-IFD in estensione. In questo caso la flessione passiva è determinata dall’elastico e l’estensione invece, è attiva in contro resistenza dell’elastico. Entrambi i metodi prevengono processi aderenziali importanti.
3. TECINCA DI MOBILIZZAZIONE ATTIVA: è una tecnica che si utilizza quando vi è un’ottima tenuta della sutura e quando si ha una buona compliance con il paziente.
Lo splint utilizzato ha le medesime caratteristiche degli altri descritti in precedenza. Gli esercizi prevedono una mobilità passiva globale in flessione fino a circa 1 cm dal palmo e un’estensione globale attiva fino al tetto dello splint. Con questa tecnica i rischi aderenziali sono ridotti ulteriormente , tuttavia deficit funzionali si possono sempre manifestare malgrado la buona fisioterapia, il migliore intervento chirurgico e la migliore compliance del paziente.