Le lesioni dei tendini estensori sono piuttosto frequenti e possono essere associate a lesioni del piano osseo. Normalmente si verificano per trauma o per lesioni da taglio. Le ferite aperte normalmente vengono trattate chirurgicamente al fine di ripristinare la funzione persa. Nelle lesioni acute è bene suturare il tendine il più presto possibile, meglio se entro i primi 15 giorni dall’evento lesivo; oltre questo periodo, il tendine ed il relativo muscolo perdono elasticità (accorciamento) e bisogna eseguire interventi più complessi: innesto tendineo, o trasposizione tendinea, interventi al quanto più complessi che possono portare a maggior rischio di aderenze. Una volta eseguita la trasposizione tendinea infatti, il tendine deve essere immobilizzato almeno un mese al fine di ottenere una buona cicatrizzazione, ma allo stesso tempo l’immobilizzazione favorisce la formazione di aderenze tra il tendine e le strutture che lo avvolgono. Queste aderenze impediranno il normale scorrimento del tendine una volta guarito e provocheranno una rigidità del dito o della mano. Anche un comune intervento di tenorrafia (Intervento chirurgico che consiste nella sutura di due segmenti tendinei recisi) può portare a deficit funzionali poiché le aderenze cicatriziali dorsali, potrebbero influenzare la perfetta chiusura delle dita soprattutto nelle prese più fini. Per aiutare la guarigione tendinea è quindi fondamentale sorvegliare la cicatrizzazione e far scorrere precocemente il tendine.
anche per l’apparato estensore, sono state descritte delle “zone” anatomiche per poter meglio identificare una lesione tendinea.
ZONE 1-2-3: normalmente il trattamento è conservativo (se la lesione non è aperta) e ancora oggi il trattamento è caratterizzato da una tecnica di immobilizzazione. Per queste zone il trattamento di immobilizzazione porta a buoni risultati poiché lascia, o a monte o a valle un’articolazione libera di muoversi favorendo un minimo scorrimento tendineo. Le lesioni della zona 1 e 2 provocano una deformità definita dito a martello. Lesioni della zona 3 invece provocano una deformità detta a bouttonière.
Zona 1 e 2 (deformità e splint utilizzato)
Zona 3 (deformità e splint utilizzato)
Zona 4: in questa zona la lesione è chirurgica, pertanto dopo un intervento di tenorrafia si può procedere con un metodo di immobilizzazione o di mobilizzazione protetta a seconda della tenuta della sutura. Il tendine a questo livello è sottile e a stretto contatto con il piano osseo pertanto è facile che si instaurino delle aderenze.
Splint di mobilità protetta
Zona 5 e 6: Viene anche definita lesione da pugno sui denti, è una lesione aperta sopra l’articolazione MF, che si verifica con il dito in flessione. La ferita può coinvolgere l’apparato estensorio e addirittura l’articolazione. Anche per questa lesione si possono utilizzare due metodiche differenti: quella della immobilizzazione e quella della mobilizzazione protetta.
Immobilizzazione:
splint Polso esteso a 20°, MF estese a 0°IF libere.
Mobilizzazione protetta
Polso esteso a 30°
MF in estensione a 0°
Zona 7 e 8: in questa zona, le ferite generalmente sono profonde e vedono protagonisti sia gli estensori delle dita che gli estensori di polso. Le aderenze che si possono manifestare provocano un deficit dell’estensione simultanea di polso e dita e impediscono la flessione totale di polso. Per limitare tali aderenze Thomas (1990) ha proposto l’utilizzo di uno splint “radial bis” modificato per consentire lo scorrimento differenziato e protetto tra gli estensori comuni e gli estensori di polso. L’ortesi limita la flessione delle dita e del polso tramite stop inseriti sul filo di trazione. Il polso viene mantenuto a 30° di estensione dalla trazione elastica. L’utilizzo di questo splint è altamente complesso come lo è il suo confezionamento, ma si ottengono ottimi risultati terapeutici evitando aderenze e successivi splint di stretching.
Splint per lo scorrimento differenziato